Meditazione 15^ domenica del tempo ordinario 16/07/2023

Il brano di questa domenica è l’inizio del discorso in parabole di Gesù nel Vangelo secondo Matteo. Perdonatemi se ripeto ancora quel che ho già detto tante altre volte: contrariamente a quello che molti pensano, le parabole non sono un modo semplice per esprimere concetti difficili, ma proprio il contrario: nella maggior parte dei casi sono come degli indovinelli, dei brevi racconti che sconcertano, che lasciano spiazzati. Noi le abbiamo ascoltate così tante volte che crediamo di averle capite e non ci meravigliamo più di niente, ma in realtà Gesù voleva proprio stupire, meravigliare, al limite scandalizzare e far arrabbiare i suoi ascoltatori. Come in questa prima parabola in cui un contadino orbo o scemo butta il suo seme sulla strada, sul terreno sassoso e in mezzo ai rovi. Centinaia di commentatori hanno detto e ripetuto che in realtà tutto è spiegabile: ai tempi di Gesù prima si seminava e poi si arava, sicché poteva capitare che il seme cadesse anche fuori del terreno buono… Ma qui non si parla di pochi semi caduti poco oltre il confine del campo: qui c’è uno che butta i semi dappertutto, apparentemente a casaccio. Perché? Che senso ha?
Ecco, Gesù vuole proprio che i suoi ascoltatori si chiedano: perché? Con i suoi discepoli di solito non parla così e infatti loro si accorgono della differenza e gli chiedono: «Perché a loro parli con parabole?». E la risposta di Gesù è ancora più spiazzante: «Perché a voi è dato conoscere i misteri del regno dei cieli, ma a loro non è dato. Infatti a colui che ha [volontà di ascoltare], verrà dato e sarà nell’abbondanza; ma a colui che non ha [volontà di ascoltare], sarà tolto anche quello che ha. Per questo a loro parlo con parabole: perché guardando non vedono, udendo non ascoltano e non comprendono».
Sembra quasi che Gesù non voglia farsi capire da quelli che non sono suoi discepoli, ma in realtà sono loro che diffidano di lui e non vogliono ascoltare, perciò Gesù adotta questa strategia. Ai suoi discepoli, a quelli che umilmente accettavano e accettano di mettersi in ascolto della sua parola, egli parlava e parla apertamente; a quelli invece che la sanno lunga, che preparano obiezioni ancor prima di aver ascoltato, Gesù parla in parabole, per indovinelli, nella speranza che qualcuno prima o poi abbia l’umiltà di dire: «Non capisco, spiegami».
Se da una parte Gesù si accorge della chiusura di molti che non lo vogliono ascoltare, dall’altra non getta la spugna e non si chiude nella ristretta cerchia dei suoi discepoli, ma lancia una sfida a “quelli di fuori” perché abbassino le loro difese e comincino ad ascoltare davvero.
Perciò, la prima parabola è la prima proprio perché parla dell’ascolto. Se il contadino fosse un contadino vero, quel che fa non avrebbe senso, ma in realtà la parabola ci sta raccontando quel che succede da sempre alla parola di Dio: è un seme buono che spesso sembra andare sprecato inutilmente, ma che alla fine invece produce un raccolto esagerato, sovrabbondante.
Credo che questa parabola abbia molto da dire ai nostri tempi nei quali si sono enormemente sviluppati gli strumenti di comunicazione e la pervasività delle immagini. Come comunica Gesù?
Non cerca di colpire un target, cioè un bersaglio passivo, non cerca di far passare a tutti i costi un messaggio già confezionato come fanno gli influencer e i pubblicitari. Cerca invece di suscitare una domanda o almeno una curiosità, di iniziare un dialogo, una relazione.
Proprio perché le parabole non hanno un solo significato prestabilito ma stimolano l’inizio di un pensiero, non sono interpretabili una volta per tutte ma in ogni tempo possono entrare in dialogo con le nostre vite.
Io, per esempio, trovo grande incoraggiamento in questa parabola quando mi sembra che le iniziative pastorali – mie e di altri – siano infruttuose, quando mi sembra di non trovare ascolto né risposta all’annuncio del Vangelo. Quando mi viene voglia di dedicarmi solo a un piccolo orticello seminato di precisione, questa parabola mi invita a non scoraggiarmi e a continuare l’annuncio con larghezza e magnanimità, lasciando che sia il Signore a pesare i frutti. Nello stesso tempo, capisco che devo imparare da Gesù e trovare o almeno cercare il modo di accendere l’interesse dei potenziali interlocutori, non rimanendo passivo a ripetere quel che si è già fatto in passato.


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