Il Vangelo di questa domenica racconta la guarigione di un pagano sordomuto. Era nato sordo e quindi, non avendo mai sentito parlare gli altri, non aveva imparato a parlare correttamente: a quei tempi non c’era la logopedia. Gesù lo guarisce entrando in comunicazione con lui attraverso il contatto fisico, con gesti molto intimi: gli mette le dita negli orecchi e gli tocca la lingua con la sua saliva, dopo averlo portato in disparte dalla folla. Pronuncia anche una parola nella sua lingua materna, l’aramaico: effatà, cioè apriti.
La tradizione successiva ha colto il valore simbolico di questo brano inserendo nella celebrazione del battesimo un rito che si chiama proprio dell’effatà: il sacerdote tocca le orecchie e la bocca del battezzato e gli dice: “Il Signore Gesù, che fece udire i sordi e parlare i muti, ti conceda di ascoltare presto la sua parola e di professare la tua fede, a lode e gloria di Dio Padre”.
San Paolo diceva che “la fede viene dall’ascolto” (Rom 10,17): per arrivare a professare la fede, prima dobbiamo ascoltare l’annuncio della parola di Dio, e non una volta per tutte. La fede dev’essere nutrita continuamente dall’ascolto della parola di Dio, il quale di solito non si rivolge a noi con locuzioni (voci) interiori, ma attraverso la Chiesa e quindi altri credenti che in un modo o nell’altro ci avvicinano a Lui, non solo nella liturgia e nella catechesi, ma anche in situazioni occasionali. A volte questo accade anche con credenti di altre confessioni o religioni o magari non credenti: Dio ci parla in molti modi diversi e in diverse occasioni.
In realtà, non solo la fede nasce dall’ascolto, ma tutta la nostra umanità, il nostro essere umani, ha bisogno di ascoltare e di ascoltare sempre: quando smettiamo di ascoltare cominciamo presto a farfugliare, come il sordomuto del Vangelo di oggi.
Ascoltare gli altri è impegnativo, almeno per me: a volte mi sembra già di sapere dove vogliono arrivare, altre volte dicono qualcosa su cui non sono d’accordo, altre volte ancora mi feriscono…
Allora mi verrebbe spontaneo interromperli, ma invece dovrei chiedermi da dove nascono certe parole, magari sbagliate o addirittura offensive. Solo un ascolto attento può dare risposta a questa domanda. Per fortuna l’ascolto non è sempre così difficile, ma richiede comunque attenzione, pazienza e disponibilità a mettere un po’ da parte se stessi per fare posto all’altro.
Secondo Gesù, il più grande comandamento è: “Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima (vita) e con tutte le tue forze”. Però non dobbiamo dimenticare che c’è una sorta di pre-comandamento: “ASCOLTA Israele, il Signore è il nostro Dio, il Signore è uno solo: tu amerai…”. È da notare che il pre-comandamento è espresso all’imperativo (Ascolta!), mentre il comandamento (Amerai) e all’indicativo futuro: è quasi più una promessa che un comando.
L’ascolto è la premessa non solo della fede, ma anche dell’amore, non solo di Dio, ma anche del prossimo: solo chi ascolta può arrivare a credere e amare.
L’evangelista aggiunge che durante la guarigione del sordomuto Gesù ha sospirato: in molte altre occasioni raccontate dai Vangeli Gesù non solo ha sospirato, ma ha sofferto fino a lamentarsi per la mancanza di ascolto da parte degli altri, mentre ha lodato più volte quelli che ascoltavano.
Questo ascolto però non è solo un fatto uditivo: è come quando diciamo “Ha ascoltato il mio consiglio”. Non vogliamo dire che si è limitato a sentire quel che gli abbiamo detto e poi ha fatto quel che ha voluto, ma che ha effettivamente messo in pratica quel che gli abbiamo suggerito.
Ascoltare davvero porta ad agire di conseguenza.
Benché in noi ci siano molte resistenze all’ascolto della parola di Dio, anche a noi il Signore può dire Effatà, apriti, se ci presentiamo a lui per essere guariti.
Meditazione 23^ domenica del tempo ordinario 08/09/2024
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