Meditazione 28^ domenica del tempo ordinario 13/10/2024

Il brano del Vangelo secondo Marco di questa domenica parla di un uomo che desiderava la vita eterna, la salvezza. Era buono: aveva sempre osservato i comandamenti. Era anche ricco. Matteo dice che era giovane e Luca aggiunge che era un notabile. Era nobile, giovane, ricco, buono e Gesù lo guardò con amore, ma non riuscì a salvarsi, almeno non in quel giorno.
Allora anche noi potremmo chiedere, come hanno chiesto i discepoli: «E chi può essere salvato?».
Gesù rispose: «Impossibile agli uomini, ma non a Dio! Perché tutto è possibile a Dio».
Quando ero giovane questo brano mi faceva paura; anche la predicazione di quel tempo non aiutava: era piuttosto minacciosa e si sottolineava sempre che «egli se ne andò triste»… Non che io avessi chissà quali ricchezze alle quali rinunciare, ma sentivo confusamente che il brano parlava anche di me, della possibilità di voltare le spalle al Signore, di non essere salvato, di non avere il coraggio di rinunciare a quel che mi sarebbe stato chiesto.
È quel che si chiama propriamente ‘tentazione’: quando si tratta di fare una scelta importante, Gesù ci guarda con amore e ci promette di riempire con sovrabbondanza la nostra vita («cento volte tanto in case e fratelli e sorelle e madri e figli e campi» sì, anche campi, però da lavorare, non da possedere), mentre invece il tentatore ci fa distogliere lo sguardo dal Signore e instilla in noi il dubbio, la paura che ci verrà a mancare qualcosa di essenziale. La paura poi deforma la visione della realtà e ci porta a scelte sbagliate.
Come il protagonista di questo brano, anch’io ero preoccupato di me stesso, di quel che io dovevo fare per “guadagnarmi il paradiso”, mentre invece Gesù dice che «tutto è possibile a Dio»: è lui che ci salva, ci viene incontro e ci guida all’incontro con sé. Non voglio minimizzare le rinunce alle quali ciascuno di noi è chiamato, perché possono essere davvero costose, almeno all’inizio, ma è Dio che ci guida e ci sostiene. Anzi: le rinunce che facciamo noi, con la nostra buona volontà, rischiano di diventare un “merito”, una bravura, un’altra ricchezza, sia pure di tipo diverso. Invece le rinunce che la vita ci impone ci rendono davvero poveri, ci spogliano e ci permettono di entrare nel regno di Dio passando per la porta stretta. E il regno di Dio, ricordiamolo, non è solo il paradiso: lo possiamo trovare, almeno in parte, già in questa vita, nelle relazioni fraterne non inquinate da interessi meschini, calcoli opportunistici, invidie, concupiscenze, avidità, volontà di dominio e tutto quello che impedisce di voler bene in modo gratuito e sincero. Il regno di Dio è un mondo di relazioni pulite, in cui ci si vuole bene reciprocamente per quel che siamo e non per quel che abbiamo o che possiamo ottenere. Tutto quello che inquina, che sporca il nostro sguardo e il nostro cuore, è da lasciare.
Il Signore non ci toglie il necessario, ma ha cura di noi e riempie la nostra vita dei suoi doni. Alla fine della sua vita terrena, nell’ultima cena, Gesù domandò ai suoi discepoli: «Quando vi ho mandato senza borsa, né bisaccia, né sandali, vi è forse mancato qualcosa?». Risposero: «Nulla» (Lc 22,35). Penso che anche molti di noi potranno dire lo stesso e ringraziare, soprattutto se avremo saputo condividere i suoi doni con chi invece è mancante del necessario.
È umano avere paura quando ci viene a mancare qualcosa che ritenevamo importante, ma il nostro vero bene è solo Dio: è lui l’unico bene indispensabile per la nostra vita, è lui la nostra vera gioia. Tutto il resto, ogni cosa creata, è da tenere e usare se ci porta più vicino a Lui, ma se ci è di ostacolo è da lasciare senza rimpianti.


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