Meditazione Natale 25/12/2024

È apparsa la grazia di Dio
Nella seconda lettura della Messa della notte di Natale risuonano le parole di San Paolo a Tito: “È apparsa la grazia di Dio, che porta salvezza a tutti gli uomini e ci insegna a rinnegare l’empietà e i desideri mondani e a vivere in questo mondo con sobrietà, con giustizia e con pietà, nell’attesa della beata speranza e della manifestazione della gloria del nostro grande Dio e salvatore Gesù Cristo.
Egli ha dato se stesso per noi, per riscattarci da ogni iniquità e formare per sé un popolo puro che gli appartenga, pieno di zelo per le opere buone” (Tt 2,11-14). La grazia, il dono gratuito di Dio, la sua iniziativa di salvezza per noi che non l’abbiamo meritata o guadagnata, è apparsa, si è fatta visibile ai nostri occhi. Sappiamo come: in un bambino povero, straniero, perseguitato e ovviamente debole.
L’umanità chiede salvezza dalle guerre, dalla povertà e dalle malattie e questa è la risposta di Dio, una risposta davanti alla quale si danno solo due possibilità: il rifiuto o un cambiamento di mentalità che nel greco del Nuovo Testamento si dice ‘metànoia’ e si traduce in italiano con ‘conversione’.
Questa conversione, per San Paolo, inizia col rinnegare l’empietà e i desideri mondani. ‘Empietà’ è una parola che non usiamo quasi più; indica la totale mancanza di rispetto per ciò che è sacro. Forse non la usiamo più perché in questo mondo ben poco si considera sacro: per l’empio tutto si può fare se torna utile; tutto si può vendere e comprare, anche le persone. Per mantenere il suo potere Erode può anche ordinare una strage di bambini: non c’è niente di intoccabile, niente davanti al quale ci si debba fermare, nemmeno la vita umana. I desideri mondani, invece, sono ben noti: avere sempre più soldi, potere, piaceri, successo e notorietà. Nessuna di queste cose sembra appartenere al bambino di Betlemme.
In positivo, questo stesso bambino che incarna il dono gratuito di Dio all’umanità ci insegna a vivere con sobrietà, giustizia e pietà in questo mondo.
“Sobrietà” significa sapersi accontentare, non desiderare né consumare più del necessario, scoprire che “meno è meglio”, ed è atroce ironia che il Natale sia diventato la festa consumistica per eccellenza. La giustizia sappiamo cos’è, in teoria, ma in pratica ci è tanto difficile rinunciare ai privilegi e lottare per i diritti di chi non conta niente in questo mondo. Pietà, ovviamente, è il contrario dell’empietà: oggi si usa questa parola per indicare il desiderio di aiutare chi è in difficoltà (avere pietà di qualcuno), ma anticamente la “pietas” era proprio la religiosità, il sommo rispetto per ciò che è sacro. La povertà e la precarietà della santa famiglia dovrebbero farci desiderare, senza bisogno di tante spiegazioni, la sobrietà per noi e la giustizia per chi nasce e vive oggi nella medesima situazione, considerando con sacro rispetto ogni essere umano, specie chi è più vulnerabile. Tutto questo non solo osservando un’antica e venerabile tradizione, ma “nell’attesa della beata speranza e della manifestazione della gloria del nostro grande Dio e salvatore Gesù Cristo”, ovvero collaborando fattivamente alla venuta di un mondo nuovo che non possiamo costruire con le nostre sole forze, ma che richiede comunque anche il nostro contributo. Natale non è solo un ricordo commovente: è attesa operosa. Nascendo, vivendo e morendo il Signore Gesù “ha dato se stesso per noi, per riscattarci da ogni iniquità e formare per sé un popolo puro che gli appartenga, pieno di zelo per le opere buone”: non per fornirci dei simboli identitari né soltanto per riunire le famiglie, ma per darci il desiderio ardente (lo zelo) di compiere opere buone insieme, come suo popolo. La grazia di Dio è apparsa, si è fatta non solo visibile, ma amabile, adorabile. Ci porta la salvezza non magicamente, non facendo sparire in un attimo i mali che da sempre ci affliggono, ma sollecitando la nostra conversione, facendo nascere in noi desideri nuovi e diversi che cambiano la direzione della nostra vita.


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