Nelle letture della Messa della Notte, soprattutto nella prima e nel Vangelo, il profeta Isaia e gli angeli annunciano la pace.
È un annuncio del quale sentiamo sempre la necessità, ma forse quest’anno in modo particolare perché la guerra in Europa non accenna a finire e si è aggiunta anche la guerra in Medio Oriente con le sue orribili efferatezze.
Per Isaia la pace è intesa come cessazione della dominazione straniera e fine della guerra in Israele: «Ogni calzatura di soldato che marciava rimbombando e ogni mantello intriso di sangue saranno bruciati, dati in pasto al fuoco». Il profeta immagina da parte di Dio un intervento forte, che oppone alla forza militare una forza ancora più grande: «Perché tu hai spezzato il giogo che l’opprimeva, la sbarra sulle sue spalle, e il bastone del suo aguzzino». Forse anche noi, quando preghiamo per la pace, pensiamo a un qualche tipo di intervento divino che cambi radicalmente la situazione o che addirittura imponga la pace quasi con la forza. Anche perché le parti in conflitto non sembrano avere nessuna intenzione di venirsi incontro in qualche modo. Ecco che allora immaginiamo l’intervento di Dio «che stronca le guerre» (Gdt 16,2).
Invece “l’esercito celeste” degli angeli di cui parla il Vangelo non interviene militarmente, ma proclama «Gloria a Dio nel più alto dei cieli e sulla terra pace agli uomini che egli ama» mentre indica un segno: «Troverete un bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia».
Dio non è intervenuto nel mondo per imporre la pace, non ha spezzato le braccia che impugnano le armi: ha scelto di entrare nel mondo con la debolezza inerme di un bambino appena nato.
Lui, l’Onnipotente, ha mostrato al mondo la via della pace scegliendo la debolezza, l’inermità, la fragilità. Tutta la vita e il messaggio del Dio fatto uomo saranno coerenti con questo primo segno: Gesù insegnerà a non resistere al malvagio, a porgere l’altra guancia, ad amare i nemici. Alla fine si lascerà catturare, torturare, umiliare e uccidere dai suoi nemici, ma non risponderà mai con la violenza, nemmeno a parole.
Questa è la via della pace: non c’è da meravigliarsi se quasi nessuno la percorre. Io non so se e come si possa praticare nei conflitti attuali, ma mi sembra abbastanza evidente che rispondere alla violenza con altra violenza, alle armi con armi ancora più potenti, non può portare alla pace.
Purtroppo sappiamo bene che in questo mondo «Chi si fa pecora, il lupo se lo mangia»: presentarsi deboli e disarmati di fronte ai prepotenti e ai furbastri espone a molti guai, ma in realtà soffrono moltissimo anche i violenti, illudendosi che con la vittoria arriverà anche la pace. Ma la logica della vendetta, della ritorsione e della violenza non può portare a una pace duratura, né sul piano dei rapporti internazionali, né su quello delle relazioni personali.
La via della pace non consiste nello “starsene in pace”: è una via difficile che chiede anche un tributo di sofferenza, che Cristo ha pagato per primo, invitandoci a seguirlo. Essere “operatori di pace” non consiste nello stare fuori dai conflitti, ma richiede proprio di entrare in essi. Soprattutto per combattere le ingiustizie, che sono le principali premesse dei conflitti.
La pace cantata dagli angeli nella notte santa è un dono di Dio, ma impegnativo; è una promessa che non si è ancora realizzata sulla terra, ma si realizza quando seguiamo l’esempio del Bambino di Betlemme; è la profezia di un mondo nuovo che è stato inaugurato duemila anni fa, ma nel quale la maggior parte dell’umanità deve ancora entrare.
Sono ancora tantissimi i bambini innocenti che soffrono perché non c’è pace nel mondo: la furia di Erode sembra non esaurirsi mai. Eppure la via della pace è stata aperta davanti a noi: tocca agli uomini “di buona volontà” decidere se percorrerla.
Meditazione Notte di Natale 25/12/2023
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