Meditazione 16^ domenica del tempo ordinario

Domenica scorsa il Vangelo ci ha raccontato l’invio in missione dei Dodici; oggi ci racconta il loro ritorno. Avevano molto da raccontare su quel che avevano fatto e su quel che avevano insegnato, ma l’evangelista non ci riporta niente di tutto questo. Alla fine del brano ci dice che anche Gesù «si mise a insegnare loro (alla folla) molte cose», ma non ci dice quali. Se – dopo Marco – gli altri evangelisti non ci avessero tramandato le parole di Gesù, se non avessimo il Discorso della Montagna o i discorsi dell’Ultima Cena, cosa sapremmo del suo insegnamento? Molto poco, ma dal racconto che abbiamo letto oggi sapremmo almeno che Gesù si prendeva cura delle persone.
Ha visto l’entusiasmo, ma anche la stanchezza dei Dodici al ritorno dalla missione e ha deciso di partire in barca e portarli in disparte, in un luogo deserto, loro soli, per farli riposare un po’. Però poi, all’arrivo, ha trovato tanta gente che lo cercava ed «ebbe compassione di loro, perché erano come pecore che non hanno pastore», perciò non fece girare la barca in cerca di un altro posto tranquillo, ma scese e si fermò con loro.
Ebbe compassione del loro smarrimento, del loro correre (intorno al lago) in cerca di aiuto per i loro malati e forse anche per altri motivi. Senza pastore le pecore si spaventano facilmente, si sbandano, scappano dal pericolo – vero o presunto – fino a quando non ce la fanno più, stanche e sfinite. Così appariva ai suoi occhi tutta quella folla che lo cercava. E lui si è fermato con loro.
Purtroppo non sappiamo cosa ha detto quel giorno, ma sappiamo che ha voluto stare con loro perché non era insensibile ai loro problemi: provava com-passione, cioè sentiva dentro di sé la loro sofferenza.
Io vorrei tanto sapere (ormai si è capito!) cosa insegnava Gesù o almeno cosa avevano insegnato i suoi apostoli, mentre invece l’evangelista Marco mi fa vedere la scena come da lontano, nelle ultime file, dove non arrivava la voce del Maestro. Ma anche da lì posso ugualmente vedere che lui c’è e prova compassione e si prende cura di noi. Più tardi qualcun altro mi farà conoscere l’insegnamento di Gesù, ma prima devo capire che lui mi è vicino e ha cura di me, di noi, cosicché io impari ad affidarmi a lui, altrimenti ascolterò le sue parole facendoci sopra tanti ragionamenti, ma senza riceverne la forza che salva.
In fondo, mi succede quasi la stessa cosa anche oggi, con altre persone: quando ho qualche problema, trovo conforto nel condividere la situazione con qualcuno che mi vuole bene e che mi sta ad ascoltare. Non gli chiedo di trovare una soluzione al posto mio o di insegnarmi cosa devo fare, anche perché molto spesso si tratta di problemi che non possono essere risolti, almeno non subito. È già molto importante sapere che sono ascoltato con empatia, sapere che non sono solo.
Anche nella preghiera non sempre trovo idee interessanti su cui riflettere: di sicuro è anche colpa mia, ma so che è successo lo stesso perfino ai santi! Tuttavia, anche quando non trovo una parola o un insegnamento esplicito, una possibile soluzione ai miei problemi, so che sono chiamato a rinnovare la mia fiducia in lui, a credere che lui si fa vicino a me. Mi fa bene ripetere: «Sei tu il mio pastore. Tu sai dove mi conduci. Mi fido di te». È importante ripeterselo spesso, perché ci vuole poco a dimenticarlo.


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