Meditazione 33^ domenica del tempo ordinario 17/11/2024

Sta per concludersi l’anno liturgico e come sempre in questo periodo il Vangelo ci propone la lettura dell’annuncio di Gesù riguardante il suo ritorno alla fine del mondo. È un annuncio dai toni piuttosto tremendi e paurosi, come abbiamo sentito: «Il sole si oscurerà, la luna non darà più la sua luce, le stelle cadranno dal cielo e le potenze che sono nei cieli saranno sconvolte».
Ogni volta che nella storia avvengono eventi gravi e drammatici, come guerre, carestie, epidemie, terremoti e inondazioni, ci si ricorda di queste profezie e ci si chiede se non sia arrivata la fine.
La fine certamente arriverà e non sarà una passeggiata, ma anziché interrogarci sul “quando” accadrà, il Signore ci invita a essere attenti a “come” andiamo incontro a lui, a “cosa” facciamo.
Cristo ritornerà come giudice della nostra vita e del mondo perché è la verità: di fronte alla verità non sarà più possibile aggiustare la nostra versione dei fatti, trovare scuse, scaricare sugli altri le nostre responsabilità. Per non avere paura del giudizio finale, dobbiamo cercare di essere sinceri con noi stessi e lasciarci giudicare dalla parola di Dio ogni giorno, mettendo a confronto le nostre intenzioni e le nostre azioni con ciò che dice il Vangelo. D’altra parte non dobbiamo dimenticare che il giudice davanti al quale compariremo alla fine è colui che ha dato la vita per amore nostro. Il Signore comprende le nostre resistenze, le nostre insicurezze, i nostri attaccamenti sbagliati…
tutta quella zavorra che ci rallenta e ci impedisce di compiere il bene. Non si limita a perdonare le nostre inadempienze, bensì ci aiuta a riconoscere i nostri errori come tali, a superare i nostri limiti, a vivere il presente in modo da non doverci vergognare davanti a lui nel giorno del suo ritorno.
Per questi motivi attendiamo il ritorno del Signore Gesù con un misto di desiderio e di timore, di speranza e di apprensione.
Anche Papa Francesco nei suoi discorsi spesso ha denunciato i segni di morte che si manifestano nel nostro tempo, ma nella bolla di indizione del prossimo anno santo, Spes non confundit, ha scelto di parlare soprattutto di speranza, invitandoci non solo a sperare, ma a costruire segni di speranza nella nostra vita e nel mondo. Ci ha invitato a essere noi creatori di speranza, a esserne artefici operando per la pace, trasmettendo la vita, aiutando detenuti, ammalati, giovani, migranti, anziani e poveri (nn. 7-15).
Non tutti possono fare tutto: far cessare i conflitti dei paesi in guerra non è in nostro potere; non tutti possono mettere al mondo un (altro) figlio; per andare ad aiutare i detenuti occorrono permessi speciali e non solo; occuparsi di ammalati, giovani, migranti, anziani e poveri non è facile, ma ciascuno di noi può fare qualcosa, può mettere un po’ di speranza nel mondo.
La speranza di cui parla Papa Francesco non è “guardare il bicchiere mezzo pieno”, ma cercare di riempirlo o almeno di metterci dentro qualcosa. Questo mondo violento e ingiusto passerà, sarà distrutto: per non perire insieme a lui dobbiamo andare incontro al Signore costruendo speranza.
Un’idea simile l’ha espressa molto efficacemente un ateo, lo scrittore Italo Calvino nel finale del libro Le città invisibili: «L’inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se ce n’è uno, è quello che è già qui, l’inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare l’inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e approfondimento continui: cercare e sapere riconoscere chi e cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio».


Pubblicato

in

da

Tag: