Quand’ero ragazzo leggevo i libri di Carlo Carretto: in libreria il cardinal Martini non c’era ancora e anche Enzo Bianchi sarebbe arrivato dopo un po’. Il libro “Beata te che hai creduto” racconta che nel suo lungo soggiorno nel deserto fratel Carlo aveva fatto amicizia con i Tuareg e un giorno aveva saputo che in un villaggio una ragazza era stata promessa in sposa a un ragazzo di un altro villaggio ma non era ancora andata a vivere con lui perché troppo giovane. Ripassando per lo stesso villaggio due anni dopo, tanto per fare conversazione aveva chiesto se quel matrimonio era stato celebrato, ma come risposta ottenne un silenzio molto imbarazzato. Più tardi un servo, a quattr’occhi, gli fece sapere che la ragazza era stata uccisa dalla sua famiglia perché era rimasta incinta. Questo avveniva intorno alla metà del XX secolo.
Il brano di Vangelo di questa domenica racconta la gioia di Elisabetta e di Maria che culmina nel Magnificat, il gioioso canto di lode che Maria innalza finalmente dopo giorni molto difficili per lei.
Rimanere incinta prima del matrimonio, a Nazaret duemila anni fa, non era certamente meno pericoloso per lei che per quella ragazza tuareg. Non sappiamo quali furono pensieri e sentimenti di Maria in quei giorni: ansia? Forse angoscia? Io credo la sua fede le permise di affidarsi a Dio totalmente, senza fermarsi a immaginare le cose terribili che i suoi compaesani avrebbero potuto pensare e fare, ma ugualmente non dev’essere stato facile sentirsi sola con quel segreto.
Possiamo avere solo una pallida idea della gioia provata da Maria nello scoprire che almeno un’altra persona conosceva il suo segreto e la capiva senza bisogno di dare spiegazioni. Chi non ha molta familiarità con la Bibbia forse fatica a riconoscere lo stile con il quale Elisabetta si rivolge a Maria: sono frasi più che cortesi, addirittura cerimoniose, come quelle con le quali in quel tempo un suddito si sarebbe rivolto alla regina madre. Elisabetta, per un’intuizione ispirata, riconobbe in Maria la madre del Messia, sentendo la gioia di Giovanni nel suo grembo, e così anche Maria fu colmata di gioia e di esultanza.
Le esperienze di questo genere si chiamano consolazioni: a volte Dio ci fa dono di una gioia che ci attrae maggiormente verso di Lui, verso il bene, verso i valori del Vangelo; fa crescere in noi la fede, la speranza e la carità, il desiderio di servire, la consapevolezza che siamo suoi e che il suo amore ci custodisce come qualcosa di molto prezioso. Quando il Signore ci dona la consolazione ci sentiamo vicini a Lui e pieni di gioia, come Pietro, Giacomo e Giovanni sul Tabor, testimoni della trasfigurazione. Questo però non deve farci pensare che nella vita ci debbano essere solo le consolazioni o che soltanto le consolazioni siano buone per noi.
Oltre alle consolazioni ci sono anche le desolazioni, cioè i momenti o i periodi in cui ci sentiamo freddi, senza amore, tristi e lontani dal Signore. A volte può anche essere colpa nostra, se abbiamo trascurato volutamente i nostri doveri, o la preghiera, o abbiamo commesso un peccato, ma altre volte, magari spesso, le desolazioni non dipendono da noi: ci sono date per crescere, per imparare a essere fedeli anche quando non ci sembra di ottenere qualcosa in cambio.
Non sappiamo molto della vita di Maria: sappiamo molto di più su quella di Gesù che dovette passare attraverso molte prove, molte desolazioni fino alla più terribile di tutte, quando sulla croce sperimentò l’abbandono da parte del Padre.
Anche la fede di Maria, però, fu messa alla prova fin dal concepimento di Gesù, dal parto nella povertà di Betlemme, dalla persecuzione e fuga in Egitto, dalle difficoltà di una vita quotidiana senza speciali privilegi e poi dalle incomprensioni del suo clan quando Gesù divenne adulto e iniziò la sua missione.
Io spero che il Natale ormai vicinissimo porti a tutti noi gioia e consolazione, ma se così non fosse non dobbiamo abbatterci o pensare che siamo lontani da Dio: Gesù è nato nella nostra povertà e ha condiviso tutte le difficoltà della vita umana perché sapessimo di non essere soli, mai. Dalla contemplazione di ciò che lui ha fatto per noi, e non di quel che riusciamo o non riusciamo a fare noi, riceviamo la gioia di essere amati e salvati, la gioia del Vangelo.
Meditazione 4^ domenica di Avvento 22/12/2024
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