Si conclude in questa domenica la lettura del primo capitolo del Vangelo secondo Marco, con il brano della guarigione (purificazione) del lebbroso. Come nel brano precedente Gesù sembrava iniziare la sua attività di guaritore quasi per caso, così anche in questo brano sembrerebbe che il miracolo in un certo senso sorprenda Gesù: poteva guarire il lebbroso semplicemente con la parola, come farà in altre occasioni, invece spinto dalla compassione lo tocca, cosa proibitissima per la Legge di Mosè. Subito dopo ha una reazione emotiva molto forte: la nostra traduzione dice “ammonendolo severamente”, ma il termine greco utilizzato per descrivere l’azione di Gesù è molto duro, viene infatti da una radice che significa forza, ira. Insomma, Gesù si arrabbia, di certo non con il povero lebbroso, ma forse con se stesso per aver fatto qualcosa che la Legge proibiva, per essere “andato oltre” spinto dalla compassione. O forse c’è un’altra spiegazione.
Al v. 41 alcuni antichi manoscritti invece di “mosso a compassione” mettono il verbo adirarsi, quindi Gesù si sarebbe arrabbiato già prima del miracolo. Con chi? Perché? Per capirlo possiamo confrontare questo episodio con un altro. In Gv 11 Gesù si adira prima di compiere il miracolo della resurrezione di Lazzaro (v. 33): l’espressione di solito viene tradotta con “si commosse profondamente”. Evidentemente i traduttori della Bibbia hanno difficoltà ad accettare la rabbia di Gesù e preferiscono riconoscere in lui la compassione e la commozione.
Certo, la sua rabbia pone degli interrogativi: non ha senso che egli si adiri con i presenti, dato che si trovano insieme a piangere per la morte di un amico. La spiegazione migliore è che Gesù si adiri con la morte. Perciò, nella guarigione del lebbroso, dobbiamo pensare che Gesù si adiri con la lebbra, con la situazione di emarginazione e di sofferenza di quel poveruomo.
Di fronte alla malattia e alla morte spesso anche noi ci arrabbiamo e qualcuno si arrabbia proprio con Dio, ma davanti ad altre situazioni che umiliano la vita umana (emarginazione, discriminazioni, ingiustizie ecc.) indignarsi è forse più difficile perché più costoso: comporterebbe una presa di posizione, esporsi, assumere una responsabilità e fare qualcosa.
Per esempio, sempre nel Vangelo secondo Marco (Mc 3,5) Gesù si adira e si rattrista allo stesso tempo per la durezza di cuore di coloro che assistono alla guarigione dell’uomo dalla mano inaridita, compiuta volutamente in giorno di sabato nella sinagoga. Subito dopo, proprio a causa di questo miracolo, parte il complotto per uccidere Gesù, e siamo solo al capitolo 3 del Vangelo.
Da tutto questo comprendiamo che Gesù si arrabbia contro tutto ciò che umilia la vita dell’uomo e la sminuisce, perciò prende posizione e ne paga le conseguenze: dopo la guarigione del lebbroso sarà lui a non poter più entrare nei centri abitati, proprio come accadeva ai lebbrosi; dopo la guarigione dell’uomo con la mano inaridita i suoi nemici complotteranno per metterlo a morte; dopo la risurrezione di Lazzaro i suoi nemici cercheranno di mettere a morte lui e anche Lazzaro.
Comprendiamo anche che Gesù non è solo dolcezza, ma è anche rabbia, indignazione, però non distruttiva: quando ci arrabbiamo di fronte al male, sappiamo che Gesù è dalla nostra parte, ma sappiamo anche che non possiamo limitarci ai sentimenti e alle condanne verbali di fronte alle situazioni per le quali possiamo fare qualcosa.
Tradizionalmente l’ira figura tra i sette vizi o peccati capitali, perché quando ci si arrabbia è molto facile dire o fare cose cattive, offendere o far del male alle persone. Ma c’è anche una rabbia “buona”, giusta, che non fa del male alle persone ma anzi prende posizione a favore di chi soffre, di chi è umiliato, di chi patisce ingiustizia.
Ci insegni il Signore ad arrabbiarci contro il male e non contro chi lo commette, a combattere l’ingiustizia senza diventare giustizieri, ad accettare di pagare personalmente il prezzo dell’indignazione contro tutto ciò che umilia la vita umana.
Meditazione 6^ domenica del tempo ordinario 11/02/2024
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