Meditazione 6^ domenica di Pasqua 05/05/2024

I capitoli dal 13 al 17 del Vangelo secondo Giovanni riportano il discorso di addio di Gesù ai suoi discepoli. Nella Bibbia, e non solo nella Bibbia, le ultime parole di una persona prima di morire sono considerate particolarmente importanti, anzi: sono sacre. Le ultime parole di Gesù sono le più importanti di tutte e sono anche molto “dense”: qui, in pochissimi versetti, abbiamo tanto su cui riflettere.
Il brano si apre con questa frase: «Come il Padre ha amato me, così anch’io ho amato voi». Quel “come” in greco ha due significati: “nello stesso modo” e “dal momento che”, “siccome”. Gesù dice ai suoi discepoli, e quindi anche a noi, che ci ama nello stesso modo in cui il Padre ama il Figlio, con lo stesso amore infinito, divino, e che questo amore ha la sua origine in Dio. Ma per non confondere questo amore col sentimentalismo, subito aggiunge il modo in cui si manifesta.
Innanzitutto dona la sua vita: non c’è amore più grande di questo. Gesù ha speso tutta la sua vita per gli altri, fino a donarla alla fine sulla croce. Ma non l’ha fatto come un atto di degnazione: anche la Scrittura a volte sottolinea il fatto che non eravamo degni di questo dono, ma qui Gesù dice qualcosa di diverso, e cioè che ha donato la sua vita a coloro che considera suoi amici. Ci tratta da amici mettendoci a parte di ciò che ha udito dal Padre suo. Sono suoi amici coloro che lui stesso si è scelto, tuttavia non si tratta di un’amicizia escludente perché noi, suoi amici, siamo stati scelti per la missione di invitare anche altri a partecipare a questa amicizia: ci ha scelti per andare e portare un frutto duraturo.
A questo punto, dopo aver detto com’è il suo amore per noi, origine e modello dell’amore dei suoi discepoli, ripete il comando iniziale: «Amatevi gli uni gli altri». Ma è possibile amare come Gesù?
Certamente no, se pensiamo che basti una decisione, un atto di volontà. Per questo egli ci invita all’inizio a rimanere nel suo amore e a osservare, o meglio custodire (il verbo usato da Giovanni si può tradurre anche così) i suoi comandamenti, proprio come ha fatto lui: «come io ho custodito i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore».
Custodire in noi questo pensiero, che siamo amici di Gesù, scelti e amati da lui, da lui resi degni della sua stima e ammessi a conoscerlo intimamente, a sapere da lui ciò che ha udito dal Padre suo, ci aiuta a non sentire i suoi comandi come qualcosa di esterno, come un peso da portare.
Rimanendo consapevoli di essere considerati da lui suoi amici e ripensando sempre al dono della sua vita non solo come dedicato all’umanità in generale, ma proprio a noi in particolare, siamo aiutati a sentire e a vivere come lui.
A volte c’è nei credenti una bassa stima di sé che viene confusa con l’umiltà. Se è giusto non credere di essere migliori degli altri, non dobbiamo però pensare di essere per questo lontani dall’amore di Dio: «Voi siete i miei amici. Io ho scelto voi». Queste parole non sono rivolte solo ai dodici apostoli, né soltanto ai discepoli di allora, ma a ciascuno di noi.
Io ne ho preso consapevolezza per la prima volta il giorno della mia ordinazione presbiterale: forse per ciascuno di noi c’è un momento speciale in cui queste parole da sempre ascoltate diventano “vere” per la propria vita. Da quell’istante le cose non sono più come prima e anche se qualche volta o spesso ce ne dimentichiamo, quando riprendiamo consapevolezza che il Signore Gesù ci considera suoi amici la gioia si riaccende: «Vi ho detto queste cose perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena». Ci conceda il Signore di custodire in noi e di mettere in pratica i suoi comandamenti non come un peso da portare, ma come fonte della vera gioia.


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