Meditazione Cristo Re 24/11/2024

Oggi la Chiesa celebra la solennità di Cristo Re dell’universo. Re è un titolo che può sembrare strano riferito a Gesù che ha vissuto nell’umiltà e nella povertà e più volte, secondo i vangeli, è sfuggito alla folla proprio perché volevano farlo re. Tuttavia è un titolo che, forse senza accorgerci, usiamo sempre: infatti la parola Cristo che viene dal greco e traduce l’ebraico Messia, indica il re di Israele consacrato da Dio con l’unzione, perché nell’Antico Testamento la consacrazione regale avveniva non tanto con l’incoronazione, quanto piuttosto cospargendo di olio profumato il capo del re. Gesù stesso, alla fine, ha riconosciuto di essere re, ma soltanto quando non ci potevano essere più equivoci sulla sua regalità, cioè mentre veniva processato da Pilato e condannato a morte con la falsa accusa di aver voluto diventare re sostituendosi all’imperatore di Roma: «Tu lo dici: io sono re, ma il mio regno non è di questo mondo» (cf. Gv 18,36-37).
Quando sentiamo questa frase forse subito pensiamo all’altro mondo, cioè all’aldilà e magari immaginiamo Gesù seduto su un trono circondato da un’immensa corte di angeli e dei santi, come degli affreschi e nei mosaici delle antiche cattedrali. In effetti, anche il libro dell’Apocalisse ci offre immagini di questo tipo, ma credo che la frase di Gesù abbia anche un altro significato.
Il regno di Gesù non appartiene a questo mondo ingiusto e violento: non è un regno che faccia concorrenza agli altri regni forniti di eserciti, gerarchie, burocrazie e esattori delle tasse. Tuttavia, il regno di Gesù è in questo mondo: non di questo mondo perché non gli appartiene, ma in questo mondo perché è presente in esso come una realtà nuova e diversa che lo fermenta dall’interno e lo spinge a cambiare. Gesù non ha mai voluto definirlo, ma ne ha parlato con immagini, con parabole. È come un lievito dentro una grande quantità di farina; è come un piccolo seme che diventerà un grande albero; è come una rete da pesca che si riempie di pesci buoni e cattivi, ma alla fine ci sarà una cernita; è come una semina che sembra andare in gran parte perduta, ma che invece porterà un grande raccolto, anche se qualcuno cercherà sempre di rovinarlo: insomma è una realtà misteriosa, quasi invisibile eppure potentissima perché ha in sé la forza della vita e non il potere della morte, come i regni di questo mondo.
Entrare in questo regno sarebbe impossibile se il re non ci avesse aperto la porta di ingresso; tuttavia, anche così, entrare è difficile, anzi impossibile perché la porta è stretta e non riusciamo a passare con tutto il nostro armamentario di attaccamenti e di presunzione: abbiamo bisogno ancora e sempre dell’aiuto del re per poter entrare e rimanere nel suo regno.
Quando chiamiamo Gesù “Signore”, diciamo proprio questo: Signore è colui che ha la signoria, il potere. Non il potere di questo mondo che si misura in miliardi di dollari o in testate nucleari, ma il potere di far passare dalla morte alla vita, dalla chiusura alla relazione, dalla paura alla fiducia, dall’ignoranza alla conoscenza di quel che è veramente bene. Quando ci rivolgiamo a Gesù chiamandolo “Signore”, noi gli diciamo: “La mia vita ti appartiene, te la dono come tu l’hai donata a noi. Fa’ di me quello che vuoi, perché sarà bene: mi fido di te. Insegnami a fare la tua volontà perché è buona, anche quando non la capisco. Tutto quello che comandi è per il bene mio e di tutte le creature, perciò ti prego di darmi il desiderio e la forza di fare quello che vuoi tu”.
Gesù è un re, un Signore che non sottomette nessuno con la forza: attende che liberamente facciamo dono di noi stessi per amore, come lui ha fatto con noi, ma verrà un giorno, alla fine, in cui tutti, proprio tutti, buoni e cattivi, riconosceranno che era giusto offrire a lui la propria vita.


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